A settembre uscirà Magico Vento numero 130, l'ultimo numero della
serie, che chiude, dopo oltre quindici anni di pubblicazioni e una
continua, coinvolgente evoluzione. Chiude non per problemi economici, ma
per una condivisibile scelta del narratore.
Dall'annuncio della
fine delle storie di MV mi sono sentito diviso tra sensazioni diverse.
Sorpresa, innanzitutto, poi una sorte di sollievo: l'opera di Gianfranco
Manfredi è ancora ai più alti livelli narrativi, meglio un finale ora,
che trascinarsi per un altro decennio tra storie sciatte e personaggi
irriconoscibili, come avviene per altre serie. Poi c'è una sorta di
malinconia, perchè la lettura del mio fumetto preferito è un'altra
abitudine che se ne va. Senza contare che sulla piazza fumettistica, in
attesa che Manfredi sforni la nuova serie Shangai Devil c'è ben poco per
sostituirlo degnamente.
Una delle chiavi di lettura che più mi ha
appassionato di Magico Vento riguarda l'intreccio tra vicende di
fantasia e fatti storici. Più ancora che i grandi episodi storici, come
la battaglia del Little Bighorn, mi intriga l'attenzione dedicata ai
protagonisti della storia, specie quelli che in genere non compaiono nei
manuali. Uno dei punti di riferimento è sicuramente la "Storia del
popolo americano" di Howard Zinn, che rilegge la storia degli Stati
Uniti dal punto di vista dei popoli nativi, degli schiavi, degli operai,
dei poveracci e delle classi sociali dominate, anzichè dei re, dei
generali e dei vescovi. A volte questa attenzione per i personaggi
"secondari" della Storia è esplicita (in "Freedom" la scelta di una
comunità utopistica come location è spunto per parlare dell'utopista
Joshua Warren), altre volte in secondo piano rispetto ad altri elementi
della trama: ad esempio, ne "L'uomo dei gatti" la trama è horror ma
compaiono i temi dell'emancipazione femminile e le condizioni dei
minatori, oppure ne "Il volto del male" e "La pista dei fuorilegge" si
raccontano le lotte dei ferrovieri.
Almeno
un paio di storie raccontano dei cinesi e del loro ruolo nella
costruzione della ferrovia. Molte altre ripercorrono il dramma dei neri,
prima schiavi, poi liberati e ancora sfruttati dalle classi dominanti.
Ma ci sono anche le lotte degli operai, dei ferrovieri, degli anarchici,
dei braccianti agricoli stritolati dai latifondisti.
Insomma, si
restituisce il ritratto di un'America come grande laboratorio, dove si
sperimentano lotte per i diritti, utopie, ideali di comunità e conflitti
sociali. Gli stessi indiani d'America, pur rimanendo sempre giustamente
in primo piano, fanno parte di un grande quadro in cui gli oppressi
lottano e si riscattano contro oppressori che non sono quasi mai puri
villain, ma più realisticamente strumenti di potentati economici, lobby,
speculatori. Non è un caso che il principale nemico di Magico Vento sia
un rapace capitalista e che tra i cattivi figurino la ferrovia, i
banchieri, i predatori di risorse naturali. E' in questa differenza tra i
buoni e i cattivi che Magico Vento fa capire al lettore, ammesso che
sia ancora in grado di capirlo, chi sono davvero gli uomini liberi.
Magico
Vento è stato non solo un fumetto, ma un'opportunità per riflettere.
Come dovrebbe accadere per le grandi narrazioni, le storie di MV, che
pure sono ambientate in un altro continente e in un altro secolo,
offrono spesso spunti per guardare al presente (penso, ad esempio, a
"Pugno d'acciaio"). E gli scambi di e-mail e lettere con il suo autore
sono stati importanti per la mia formazione umana quanto lo è stata
l'università.
Peccato, da settembre non mi resterà che rileggere i
vecchi numeri riscoprendo, come sempre, nuovi particolari o
semplicemente meravigliandomi di nuovo dell'intelligenza degli intrecci e
della bravura dell'autore nel creare personaggi avvincenti e credibili
senza sbrodolare mai nella psicologia da spiaggia.
E una nota che
tengo per ultima. Ho comprato Magico Vento numero uno intorno ai sedici
anni. Si chiude oggi che ne ho trenta. E' quasi naturale sentirla come
un'epoca della vita che se ne va.
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