giovedì 20 marzo 2008

E l'Enel rilancia: "Centrale a biomasse"

dal Corriere del Veneto del 20 marzo 2008

ROVIGO – Bruciare biomasse nella centrale di Polesine Camerini? Quella di un mix tra pellet e carbone è un’idea che Enel ha da tempo affiancato alla richiesta della riconversione a carbone: il piano mira ad utilizzare il 5% di biomasse su due dei tre gruppi termoelettrici riconvertiti. Ieri a rilanciarla è stato il responsabile delle nuove tecnologie Sauro Pasini, nel corso del convegno «Agroenergie e nuove opportunità di sviluppo in sinergia con il territorio», organizzato da quel Comitato per lo sviluppo che della riconversione ha fatto il perno dei propri piani per il Polesine. Non stupisce dunque che, in un convegno sulle bioenergie, ancora una volta la parola d’ordine sia stata la riconversione a carbone della centrale, che per Pasini sarà l’evento da cui il business delle agroenergie farà il proprio ingresso in Polesine.
Con l’adozione delle biomasse, Enel conterebbe soprattutto di offrire una compensazione al territorio. Il combustibile infatti, dovrebbe provenire rigorosamente da coltivazioni di pioppi o altri vegetali da utilizzare per la produzione di pellet. Filiera corta e uso di biocombustibili dovrebbero accontentare anche chi chiede la riduzione delle emissioni. Ma, precisa ovviamente il rappresentante dell’Enel, «l’effettiva evoluzione di queste iniziative è subordinata all’ottenimento delle autorizzazioni necessarie».
Resta da comprendere se il Polesine sia in grado di fornire il quantitativo di combustibile sufficiente: il progetto dell’Enel, infatti, richiederebbe 350mila tonnellate all’anno di biomasse (coltivate in aziende del basso Polesine), da bruciare assieme al carbone nei due gruppi termoelettrici di destinazione. Non poteva mancare, dunque, qualche perplessità da parte degli addetti ai lavori. Tra questi l’assessore provinciale all’Ambiente Giancarlo Chinaglia: «Sulla questione mi ero già confrontato con Enel in Commissione Via regionale, chiedendo loro se erano sicuri di una simile idea – spiega – I responsabili hanno chiarito che si tratta di una disponibilità offerta al territorio. Ma certo, se accettata, richiederebbe enormi quantità di terreno destinato solo a questo uso». Chinaglia stima il minimo necessario in 30mila ettari l’anno coltivati probabilmente a pioppi. E ciò senza contare la rotazione: una volta abbattuti, infatti, questi alberi richiederebbero tre anni per ricrescere. Dunque le cifre triplicherebbero. «Ma io – dice Chinaglia – non ce lo vedo il Delta trasformato in una grande foresta».

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