lunedì 1 novembre 2010

Delta del Po, il parco che non c'è

pubblicato su estnord.it

A tredici anni dalla nascita dell'Ente Parco del Delta del Po, il parco ancora non c'è. Anzi, proprio l'ente chiamato a decidere sul suo destino sembra andare in senso totalmente opposto: ridurre al minimo le aree tutelate e lasciare mano libera all'attività dei cacciatori e ai progetti devastanti di industriali e imprenditori turistici, ovviamente per tornaconto politico.

Dopo anni di ritardo, l'approvazione el Piano ambientale del Parco sembra essere ormai dietro l'angolo. La prima legge in materia, datata 1990, la prevedeva già entro i tre anni successivi. In queste settimane, tuttavia, sembra che finalmente l'ente stia accelerando i lavori per arrivare ad un documento condiviso, che definirà i confini dell'area tutelata. Ma l'esito non è per nulla certo: il prossimo anno si rinnovano i vertici dell'ente, con la Lega in prima fila per l'ambita poltrona, e il percorso è irto di ostacoli, posti da imprenditori, agricoltori, cacciatori e amministrazioni comunali.

Dare un'occhiata alla bozza di piano elaborata sulla base delle indicazioni dei comuni, scaccia ogni ottimismo, prospettando un parco ridotto al corso del fiume e ai suoi argini, mentre restano del tutto fuori golene, scanni e spiagge.

Il piano ambientale del Parco, rivela Angelo Motta della Federazione della sinistra, rappresentante della Provincia nell'ente, è costato 280mila euro. Ma più che delineare un'area tutelata, descrive un parco a macchia di leopardo, in cui i comuni premono per non toccare gli interessi economici di cacciatori e imprenditori: "La proposta del Comune di Porto Tolle è di escludere dal piano tutte le spiagge e gli scanni, che sono Zone a protezione speciale e Siti di interesse comunitario. Altrettanto accade ad Adria, dove il comune ha consentito di mantenere all'interno del Parco solo il tratto del Po". Ancora Porto Tolle, racconta Luigi Pizzo, ha chiesto di lasciare fuori dal perimetro l'area pregiata della Busa di Tramontana, perchè Enel è intenzionata a farvi transitarele bettoline cariche di carbone una volta riconvertita la centrale. Identico motivo per l'esclusione delle spiagge: "A Boccasette si è fatto lo stesso per accontentare un privato che vuole costruire un villaggio turistico su palafitte da duemila posti. Così a Barricata, dove la spiaggia è rivendicata da tempo dal villaggio turistico realizzato da Pierantonio Macola".

Mentre in Emilia Romagna il parco regionale del Delta del Po, nato nove anni prima di quello veneto, ha raggiunto un'estensione di 56mila ettari, in Polesine non si superano i 12mila ettari, nonostante la maggior parte dei rami del grande fiume si trovi qui. Anche i bilanci degli enti sono lontani anni luce: l'Emilia stanzia risorse per 14 milioni di euro, il Veneto un milione, che quest'anno sarà ulteriormente ridotto. "Insomma, nè i Comuni, nè la Regione credono nel parco e anzi spingono in senso opposto, con l'insediamento di nuove centrali, la realizzazione di un'area industriale a Porto Viro o la costruzione di un terminal merci off shore".

D'altro canto, è evidente che le amministrazioni locali non hanno alcun interesse a realizzare un piano di sviluppo sostenibile legato a un parco naturale. Bastino ad esempio l'assurdità di ammettere la caccia in un parco naturale popolato da migliaia di specie rare e pregiate o progetti devastanti come il terminal gasiero di Porto Levante o la riconversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle, approvati non solo dal centrodestra, ma pure da buona parte di quel centrosinistra con cui, va detto, la Federazione della sinistra tuttora governa l'amministrazione provinciale, sebbene in dissenso sulle scelte ambientali.

Con un atteggiamento di totale strabismo, gli amministratori locali prima glorificano la bellezza del paesaggio e i prodotti del Delta come risorsa per l'economia locale, poi autorizzano insediamenti industriali impattanti e in contrasto con ogni vocazione di sviluppo sostenibile. Hanno gioco facile ad inserirsi in questo vuoto le proposte più deliranti, dalla "superstrada delle vongole" nelle zone più delicate del parco fino al faraonico parco di divertimenti battezzato Euroworld, che una cordata di imprenditori tedeschi e arabi sognava di costruire in mezzo alle valli da pesca. Follie fortunatamente cadute nel dimenticatoio.

Eppure in Polesine non mancano imprenditori con le idee chiare su cosa significhi un'economica sostenibile, a partire dal turismo, dalla pesca e dall'agricoltura di qualità. Il paradosso è che proprio chi dovrebbe decidere del futuro del Delta, invece, manca di idee oppure avvalla, in nome dello sviluppo, progetti del tutto in contrasto con l'esistenza stessa del parco.

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