sabato 9 febbraio 2013

Sara, la cooperante che «esporta» il suo aiuto

 pubblicata sul Corriere del Veneto del 9 febbraio 2013

I diritti umani come passione, materia di studio e infine professione. La storia di Sara Quaglia parte dalla piccola Badia Polesine, comune polesano incastonato tra le province di Padova e Verona, e arriva fino al corno d’Africa. Filo conduttore, l’impegno per gli altri, iniziato nella sua città e divenuto un vero e proprio progetto di vita.
«L’interesse per i diritti umani è nato dalla mia prima esperienza di volontariato, iniziata all’inizio delle superiori – racconta -, quando ho iniziato a partecipare alle attività del Centro Documentazione Polesano a Badia Polesine».
Organizzazione nata negli anni Settanta, il Cdp è attivo da anni sul fronte dei diritti umani, sia con eventi culturali come il Festival dei Popoli, sia con veri e propri progetti a sostegno dei più deboli nel territorio e all’estero.
Dall’esperienza di volontariato locale, nasce l’interesse per i diritti umani, che porta alla scelta degli studi universitari nello stesso settore. Il passaggio dai libri all’esperienza sul campo viene quasi naturale: «Intorno al terzo anno ero stufa di teorie e massimi sistemi, volevo conoscere direttamente situazioni reali, così sono partita». E’ il 2006, anno della prima vera missione. Prima c’era stato un campo estivo in Lituania con Lunaria, ma è in questo nuovo viaggio che Sara conosce per la prima volta la durissima condizione dei profughi espulsi dal Sahara Occidentale occupato dalle truppe marocchine e confinati da decenni nei campi sfollati in Algeria. «Ero parte di un gruppo di volontari polesani partiti con l’associazione emiliana Jaima Saharawi. E’ stato allora che ho capito che questo era ciò che volevo fare nella vita. Arrivi pensando di essere lì per aiutare gli altri e torni indietro rendendoti conto che sono loro ad aver aiutato te».
Oggi Sara è cooperante del Gruppo Missioni Africa, una Ong di Montagnana attiva soprattutto in Etiopia ed Eritrea con progetti per bambini, donne, sviluppo delle zone rurali. Progetti che segue in prima persona da un paio di anni, nonostante la situazione molto difficile: dall’anno scorso tutte le Ong sono state di fatto espulse dall’Eritrea. «Lì la leva obbligatoria per tutti impegna gli uomini al fronte o in guerra. Molte donne, invece, diventano mamme in giovane età e abbandonano gli studi. Con i nostri progetti, abbiamo portato ad esempio corsi professionali per consentire alle donne di poter lavorare». Come vivi ogni volta il ritorno in provincia dopo un viaggio? «Mi aiuta il fatto di lavorare ancora a questi progetti, di sentirti comunque utile, ma tornare è sempre un trauma. Forse il cosiddetto “mal d’Africa” è la nostalgia di rapporti tra le persone molto diversi da quelli a cui siamo abituati».

(Questa è la versione integrale dell'articolo uscito sul Corriere del Veneto, da cui mancavano le ultime righe, spuntate probabilmente per ragioni di spazio)

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