martedì 2 dicembre 2014

"Socialmente utile" è roba da sfigati

Partiamo con un aneddoto con cui mi piace rompere il ghiaccio quando mi invitano a parlare di "comunicazione e volontariato".
Qualche anno fa, un gruppo di studenti fu obbligato dalla scuola a fare lavori per la collettività, come risarcimento per aver fatto a pezzi un crocefisso e messo il video su Youtube. Il Resto del Carlino uscì con un titolo a tutta prima pagina: "La pena: facciano volontariato".

Cioè: il volontariato è una pena, una roba talmente brutta che merita di essere inflitta come punizione. (In Italia si stiamo oltre 6,5 milioni di persone che fanno volontariato per masochismo, secondo dati Istat di quest'anno).

Ora mi capita davanti questo titolo della Voce di qualche giorno fa: "I profughi? A lavorare". Pur essendo abituato a leggere titoli al limite del surreale a staffetta un po' su tutti i quotidiani locali, questo mi colpisce nuovamente.
La notizia (quella vera): il sindaco di Porto Viro sta valutando l'ipotesi di coinvolgere i profughi ospiti nel suo comune in attività socialmente utili, ad esempio lo sfalcio del verde o piccole manutenzioni in città. Si tratterebbe di un'attività puramente a titolo volontario, per consentire loro di rendersi utili alla comunità. E' un aiuto non solo alla città, ma a loro stessi, che così possono dare un senso alle lunghe giornate senza molto da fare.

Il titolo, si sa, deve riassumere. Però qui, nel riassumere, non solo stravolge il senso dell'articolo, ma finisce pure per rivelare la visione del mondo di chi l'ha pensato. "I profughi? A lavorare". Cioè: quei fannulloni dei profughi vadano a lavorare. A lavorare come e dove? Gratis. Anzi: "usiamoli". Come si fa con la servitù.
Lasciamo pure perdere la questione profughi in sè. Parliamo invece dell'immagine che viene data di un'attività di volontariato per la comunità. Ciò che è "socialmente utile" diventa ancora una volta qualcosa da super sfigati oppure da rifilare ai fannulloni o ai delinquenti.
Niente di nuovo sotto il sole. I giornali tendenzialmente danno questa rappresentazione del volontariato: attività per chi ha un sacco di tempo da perdere, tappabuchi dei servizi pubblici, lavoro gratuito con i soggetti più sfigati della società (poveri, vecchi e disabili) oppure missione per persone dal cuore d'oro.
Sul Fatto Quotidiano l'attività di volontariato riparativo di Berlusconi alla casa di riposo di Cesano Boscone veniva descritta come una succulenta punizione: occuparsi dei vecchi è il minimo che merita un frodatore fiscale, capio? Il volontariato con gli anziani, nelle vignette di Stefano Disegni, è pulire il culo ai vecchi.

Niente di inedito. Intervistando per lavoro ragazzi e studenti, negli ultimi cinque anni, ho raccolto un'immagine del volontariato analoga: volontariato è roba da sfigati o da supereroi - che poi sono la stessa cosa - o comunque per gente che ha un sacco di tempo (da perdere, ovviamente), votata al martirio e con un gran desiderio di "aiutare gli altri". Per farsi due risate, vi invito a vedere un simpatico videobox che abbiamo realizzato nel 2009: http://youtu.be/CmTpw-QP3Jc.
Poi non ti stupisci se ti chiamano chiedendo "un'associazione che mi mandi dei volontari ad accudire mia madre giorno e notte gratis" o che "mi portino al lavoro e mi vengano a prendere tutti i giorni gratis negli orari che dico io".

Dunque i giornali in questo caso rappresentano meravigliosamente il sentire comune (anche perchè i giornali sono scritti da gente che non è meglio o peggio della maggior parte della gente che conosci). Forse migliorare la società non deve essere la missione di chi fa giornalismo. Ma di certo scegliere una parola piuttosto può fare danni che uno nemmeno si immagina.

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