giovedì 19 luglio 2007

Mohammed, dall'Iraq in guerra a Lampedusa con l'Arci

da un articolo pubblicato sul Corriere del Veneto il 19 luglio 2011*

In questi giorni è a Lampedusa con il gruppo rodigino di Arcisolidarietà: nell’isola di frontiera, famosa per gli sbarchi di disperati provenienti dalle coste dell’Africa, Mohammed è al momento l’unico interprete arabo a disposizione del centro di prima accoglienza locale.
L’Arci di Rovigo gli ha proposto di partecipare come mediatore ad un progetto di sostegno all’Agenzia Onu per i Rifugiati, nel periodo in cui gli sbarchi sono più intensi. E lui si è reso disponibile: anzi, quando gli hanno comunicato che non c’è nessuno in grado di tradurre dall’arabo sull’isola, ha accettato di iniziare il suo turno di servizio con qualche giorno di anticipo.
Dal Veneto leghista a Lampedusa, unico feudo della Lega nel meridione, quasi un paradosso: “Qui è peggio – dice –. Ho assistito ad espressioni di aperto razzismo verso turchi e arabi che in Veneto non capitano. Gli unici stranieri sono quelli chiusi nel centro d’accoglienza”.
Arrivato a Rovigo nel 2003, ferito da una bomba lanciata contro il suo ristorante di Baghdad, oggi Mohammed Qassim Habib è un rifugiato politico. Un vantaggio, ma anche un peso. “Come rifugiato politico hai diritto a sostegno economico e ad una casa condivisa con altre persone – dice – Ma quello che serve è un lavoro, un corso di formazione professionale, la possibilità di farsi una casa propria e condurre una vita normale”. In questo, aggiunge, l’Italia è indietro rispetto ad altri paesi europei: il Polesine, poi, non offre praticamente niente. Anche per questo ha scelto di mettersi a disposizione dell’Arci: anche se l’Italia non dà lavoro ai rifugiati, non si è obbligati a rimanere con le mani in mano.
Nei quattro anni vissuti a Rovigo, Mohammed ha impiegato il proprio tempo insegnando arabo ai bambini immigrati e ad alcuni italiani, aiutando la Croce Rossa e Arcisolidarietà, dedicandosi ai ragazzi disabili dell’associazione Polesine Solidale, facendo il mediatore culturale per gli avvocati di strada. E’ come se ricambiasse la generosità con cui è stato accolto.
“Qui ho incontrato della gente buona, dal personale ospedaliero fino ai volontari di Arcisolidarietà, da cui ho ricevuto un grande sostegno”. Perché quello di cui ha bisogno uno straniero, dice, è un po’ di aiuto ad orientarsi in un paese che non conosce: e vengono alla mente scontri tra culture che si sarebbero potuti risolvere attraverso una mediazione. Come quello della signora marocchina fermata un paio di giorni fa dai vigili di Treviso, dopo che i passanti l’aveva segnalata mentre girava per il centro con il burqa. Tuttavia per Mohammed è la stessa religione ad indicare di “rispettare le usanze dei paesi di cui si è ospiti”.
Lui con l’Italia ha un legame particolare: il suo ristorante si trovava proprio davanti all’ambasciata italiana di Baghdad. Con gli italiani, racconta, i rapporti erano più che buoni: spesso, anzi, era proprio il ristorante di Mohammed a preparare pranzi per il corpo diplomatico.
Ma già molto tempo prima dell’attentato di Nassiriya, gli italiani erano nel centro del mirino. Lui stesso ricorda i due ordigni trovati e disinnescati proprio davanti al suo ristorante. La bomba che lo colpisce qualche tempo dopo probabilmente è diretta proprio contro l’ambasciata, ma manca il bersaglio. E la sua vita all’improvviso viene sconvolta: il viaggio in Italia, ferito, con la Croce Rossa, l’assegnazione al reparto di ortopedia di Rovigo e un lungo periodo di riabilitazione, durante il quale ottiene lo status di rifugiato politico. Tornare nel suo paese è troppo pericoloso, perfino la sua famiglia ha lasciato la capitale irachena.
Il problema maggiore per chi arriva in Italia? “Troppa burocrazia. Me ne accorgo anche qui, a Lampedusa – dice –. Arriva gente malata e non si può fare nulla. Bisogna trovare il modo di sveltire le cose”.

*Il titolo dell'articolo pubblicato era diverso. Tra l'altro, conteneva la parola "clandestini" che io mi rifiuto categoricamente di usare.

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