sabato 8 settembre 2007

L'autostrada più inutile d'Italia

Pubblicato su CartaQui EstNord n. 31

Antonio Cederna l’ha definita a suo tempo “l’autostrada più inutile d’Italia”. Perfino i suoi promotori, i deputati democristiani Flaminio Piccoli, Mariano Rumor e Antonio Bisaglia, fecero retromarcia di fronte alle critiche ad un progetto, battezzato con le loro iniziali Pi.Ru.Bi., che avrebbe portato più danni che benefici. Ma i cantieri dell’A31 Valdastico oggi sono in piena attività, mentre il dibattito sull’opera tiene banco da quarant’anni: nata per unire Rovigo a Trento, coinvolgerà 23 comuni tra le province di Rovigo, Padova e Vicenza, allacciandosi alla A4 Milano-Venezia e alla SS 34 Transpolesana, ma soprattutto transitando per i Colli Euganei e i Monti Berici, territori finora sopravvissuti alle follie di un Nordest drogato di cemento.

La Valdastico Sud di cemento ne porterà eccome: 11 viadotti per oltre 3.600 metri, 3 gallerie per una lunghezza di 362 metri, tre corsie d’asfalto per 54 chilometri e ancora oltre 43 chilometri di strade di raccordo.
Sembra tuttavia che oggi manchi del tutto il senso della decenza che allora frenò l’avvio di quella che già era definita “autostrada della vergogna”, con 2 miliardi di lire stanziati per un progetto che avrebbe fatto scempio del territorio. Basti ricordare le manovre del governo Berlusconi per far approvare i progetti della società autostrada BS-VR-VI-PD, nonostante la stessa proposta fosse stata già bocciata nel 2001. Sembrava fatta: di fronte allo scontro tra la nuova Commissione VIA favorevole e il Ministero ancora contrario, lo stesso Consiglio dei Ministri nel 2002 approvò l’A31, per poi sancire il via libera con due decreti nel 2003 e nel 2004. Ma i comitati ambientalisti veneti riuscirono a mettere il bastone tra le ruote, con il ricorso al TAR, vinto clamorosamente nel 2005.
Spesso le reazioni alla sentenza tra i favorevoli alla Valdastico rivelano non solo lo scarso senso del pudore, ma anche gli enormi interessi economici in ballo: tra i primi ad esporsi, Manuela Dal Lago (Lega Nord) e Vittorio Casarin (Forza Italia), presidenti rispettivamente delle Province di Vicenza e Padova e promotori di una petizione popolare a favore dell’opera. E’ del tutto casuale, ovviamente, che entrambi trascorressero il proprio tempo libero nei Consigli d’Amministrazione delle società private interessate alla costruzione e alla gestione dell’autostrada. Altro che sviluppo, il motivo di tanto entusiasmo non era forse la possibilità di accaparrarsi una ricca messe di appalti per la realizzazione, per la fornitura di materiali e per la costruzione di ulteriori aree commerciali a ridosso dell’A31?
Ma il maggior flusso di denaro (che finirà presumibilmente nelle tasche di pochi), non compensa i danni prospettati dal fronte dei contrari: la Valdastico Sud sfigurerà paesaggi quasi incontaminati come quelli dei Berici, decreterà la morte di centinaia di aziende agricole e andrà a minacciare il patrimonio artistico costituito da 9 ville venete, tra cui la palladiana Villa Biagio Saraceno. Quello che i Comuni favorevoli invocano come sviluppo, inoltre, si tradurrà nel fiorire di nuove zone industriali e commerciali a ridosso degli svincoli autostradali, con conseguente aumento di cemento, asfalto e inquinamento atmosferico. Un danno non solo ambientale: le nuove zone commerciali decreteranno la morte sociale delle comunità vicine, dissanguando le piccole attività commerciali e trasformando paesi e cittadine in enormi dormitori, non luoghi senza più identità culturale e vita civile.
Tra chi in questi anni ha lottato contro la Valdastico, figurano non solo alcuni privati, ma anche Italia Nostra, WWF, un Comitato intercomunale e la Fondazione inglese "The Landmark Trust", legata nientemeno che al principe Carlo d'Inghilterra. Eppure sono proprio i cittadini veneti a mancare in questo scenario: difficile mobilitare la popolazione quando sono gli stessi Comuni, le Province e perfino le rappresentanze sindacali a gridare il proprio entusiasmo per la realizzazione dell’autostrada più inutile d’Italia.

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