sabato 22 settembre 2007

Quando la sanità fa businness

pubblicato su CartaQui EstNord n. 33

Sarà “l’ospedale tecnologicamente più avanzato d’Italia e all’avanguardia d’Europa”, promettono i costruttori. Di sicuro il nuovo nosocomio di Mestre, ormai arrivato al taglio del nastro, un primato l’ha già guadagnato: è la prima struttura sanitaria in Italia ad essere realizzata con il metodo del “project financing”.
Si tratta del nuovo stadio degli intrecci tra pubblico e privato nel sistema sanitario veneto: un privato [o una cordata di privati] propone alla Pubblica Amministrazione di partecipare al finanziamento e alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità, ottenendo in cambio una certa quota dei profitti derivanti dalla gestione. Nel caso del nuovo ospedale mestrino, la società Veneta Sanitaria Finanza di Progetto ha elargito circa 140 milioni di euro sui 220 milioni investiti per la costruzione del complesso. Parte della consistente somma verrà restituita dalla stessa Asl 12 negli anni a venire. Ma una buona fetta verrà recuperata direttamente dalla società, gestendo per i prossimi 24 anni i servizi alberghieri [lavanderia, mensa, pulizie] e quelli sanitari [laboratorio analisi e diagnostica per immagini]. Si tratta, insomma, di un buon investimento, se si considera che il nuovo ospedale è destinato a diventare il polo d’attrazione per almeno 300mila utenti veneziani, senza contare quelli che potrebbero giungere dal territorio provinciale.


La finanza di progetto
Il “project financing” è frutto di una politica sanitaria che vede nella collaborazione con i privati la formula magica per risolvere ogni problema di gestione. Si affidano i servizi ai privati perché, si dice, è la soluzione più economica ed affidabile. La logica è quella esposta dal direttore dell’Asl  12 Antonio Padoan, che circa un anno fa intesseva così le lodi del project financing: “uno strumento eccezionale, che crea tra pubblico e privato una coincidenza d’interessi ottimale nell’accelerazione dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche”. Proprio su queste “coincidenze di interessi” tra il pubblico e il privato sono in molti ad avere dei dubbi: può veramente conciliarsi la logica dell’assistenza con quella del profitto? Di fatto l’esperimento è in corso, grazie alla legge 166 del 2002 che ha rimosso alcuni vincoli della legge Merloni, favorendo l’ingresso dei privati anche nella Sanità. E se, a ben guardare, il Veneto non è certo una delle regioni in cui la presenza dei privati è più marcata, il disegno politico della Regione spinge verso un ricorso sempre più elevato al privato, per quanto riguarda sia le strutture vere e proprie, sia la libera professione intra moenia.
Precursore della pratica del project financing in Veneto è stata l’Asl 8: i costi per il completamento della struttura di Castelfranco Veneto, attualmente in corso, sono stati coperti all’80% da un consorzio privato guidato dalla rodigina Guerrato. Anche in questo caso l’ingente investimento da parte delle società coinvolte verrà ripagato tramite la gestione diretta per i prossimi 27 anni di una serie di servizi alberghieri e sanitari. Una storia che andrà a ripetersi in modo simile con l’ospedale di Montebelluna, che verrà costruito nuovo di zecca demolendo la precedente struttura. I due interventi fanno guadagnare anche un record all’Asl 8: con un bando da 110 milioni di euro, è al primo posto nella classifica nazionale delle gare di finanza di progetto.
Le strutture sanitarie realizzate con l’intervento dei privati, dunque, sembrano destinate ad aumentare nei prossimi anni. Il nuovo ospedale di Mestre, infatti, oltre ad essere la prima struttura costruita ex novo con questo sistema, farà da apripista ad altri progetti. Sempre nel veneziano si sta già progettando la ristrutturazione dell’Ospedale civile di Venezia, i cui lavori saranno affidati nuovamente ai privati. Per finanziare la nuova operazione sono state vendute numerose proprietà immobiliari al Lido di Venezia, tra cui i locali dell’ex Ospedale del Mare, ceduti per la costruzione del nuovo Palazzo del Cinema. Tutto ciò nonostante le proteste dei residenti, che chiedono invece un potenziamento dei servizi locali di assistenza e di emergenza.
Ma anche Padova si appresta a seguire l’esempio dei vicini veneziani. Il nuovo polo ospedaliero cittadino fa parlare di sé da tempo: non solo perché, come denunciato dai Verdi, non se ne comprende la necessità, ma soprattutto perché qui il rapporto tra pubblico e privato compie un salto di qualità: “Con il caso di Padova – spiega Gemmia Lumian, segretario provinciale veneziano di Rifondazione Comunista – si assiste ad un’espansione del project financing. Qui sono i privati che presentano il progetto e ottengono in cambio guadagni 4 o 5 volte superiori a quanto investito”. La richiesta di realizzare un nuovo ospedale, conferma infatti una recente denuncia della Cgil padovana, è stata avanzata dai costruttori edili e non dalla comunità scientifica: “Ma questa pretesa e bisogno a chi e che cosa rispondeva? Quale necessità esprimevano invece i malati bisognosi di cure?”


Se è il pubblico a pagare il privato
A preoccupare non è l’ingresso dei privati in sé, ma il rischio che il ricorso massiccio a questa soluzione da un lato produca un business dei servizi sanitari e dall’altro peggiori la qualità del settore pubblico, costretto a sacrificare le proprie risorse per rimborsare gli investimenti privati, a scapito ovviamente degli utenti. A questo processo si accompagna la strategia, portata avanti negli scorsi anni dall’assessore regionale Flavio Tosi, di centralizzazione in grandi strutture, soppressione dei servizi sul territorio, riduzione e precarizzazione del personale.
Anche gli effetti miracolosi dell’esternalizzazione dei servizi sembrano lontani. Finora a guadagnarci sembrano essere stati solo i privati. E’ emblematico il caso dell’Ulss 18, che copre l’alto e il medio Polesine: qui l’allarme sui mancati benefici della collaborazione con i privati viene dall’ispettore del Ministero dell’Economia e delle Finanze Carlo Alberto Luccone, giunto a Rovigo nei primi mesi del 2006. Quanto ha trovato è contenuto in un corposo rapporto, i cui contenuti sono stati denunciati solo di recente dall’assessore provinciale alla Sanità Guglielmo Brusco: tra il 2006 e il 2007, stando al rapporto, le spese per le convenzioni con strutture private sono praticamente raddoppiate, passando da più di 6 milioni di euro agli oltre 12 milioni di euro dell’anno successivo. Nel 2003 questa quota si aggirava intorno a 5 milioni di euro. Quanto hanno giovato questi investimenti alla sanità polesana? Poco, verrebbe da dire, visto che tra il 2002 e il 2006 il deficit di bilancio è passato, sempre secondo il rapporto dell’ispettore, da 24 milioni e mezzo a oltre 50 milioni di euro. Gli effetti collaterali sono i soliti: chiusura di servizi, tagli dei posti letto, blocco dei turnover, allungamento delle liste d’attesa. Il record più recente: 428 giorni per una visita cardiologica a Rovigo. Con il solito consiglio: “Per tempi più brevi si rivolga al privato convenzionato”.
E il giro d’affari cresce.

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